Le Wild Trout dell’Alto Biferno

Articolo pubblicato su La Pesca Mosca e Spinning Aprile-Maggio 2012

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Me l’aveva detto, Mimmo, che al momento opportuno mi avrebbe chiamato.

E che dovevo vedere con i miei occhi quello che lui raccontava di questo fiume, altrimenti non ci avrei creduto.

“La trota si diverte, quando mangia, e noi ci dobbiamo divertire a pescarla”.

Un giorno quella telefonata è arrivata, e poche ore dopo ero già da quelle parti, sul fiume Biferno, in Molise, in caccia di trote selvagge.Mimmo2-009

Intendiamoci, non semplici trote di immissione, ma fario autoctone molto aggressive che raggiungono taglie davvero sorprendenti, se contiamo che siamo al sud Italia e qui non si trovano  corsi d’acqua di maggior portata tipici del nord della penisola.

Dicevo, la mattina ci svegliamo presto, col pensiero del meteo che non presagiva una giornata facile, per via di quei  nuvoloni grigi carichi di pioggia che hanno continuato a rincorrersi per tutta la notte.

E infatti piove, ma siamo a maggio e la nostra determinazione è più forte di qualsiasi temporale.

Da Campobasso è vicino, il Biferno.

Un fiume dal carattere lunatico del quale ne avevo sentito già parlare, e che mi aveva colpito più per il suo nome evocativo che per la fama che si è guadagnato nel tempo.

Nasce a Boiano e dopo 84 chilometri sfocia nel Mare Adriatico, dopo aver attraversato il lago di Guardalfiera, meglio conosciuto come la diga del Liscione.

Si raggiunge in pochi minuti di auto, se escludiamo lo sterrato impantanato che, come nella migliore delle tradizioni che si rispettano, è d’obbligo se si vuole arrivare in posti pieni di pesce a pochi chilometri da casa.

Anche perché altrimenti, a cosa servirebbe il fuoristrada del mio amico?

Arrivati sul posto scelto, la prima impressione che ho avuto affacciandomi sul corso d’acqua è stata quella di una grande sorpresa.

Acqua trasparente, nonostante la pioggia continuasse a cadere, una stretta striscia in  movimento che si fa largo tra la vegetazione rigogliosa e le statali di asfalto costruite intorno.

È possibile, mi sono chiesto, che in un piccolo corso d’acqua come questo vivano delle trote così grandi?

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Il mio interrogativo non è durato a lungo, perché poco dopo, all’altezza di una curva in cui Mimmo aveva segnalato la presenza di “una grande” ancora prima di lanciare, come un giocatore di biliardo quando annuncia una buca, ha agganciato una fario da documentario come non ne avevo mai viste dal vivo, o almeno in acque libere.

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Il tratto che abbiamo percorso,  caratterizzato da acque di categoria C, inizia a Colle d’Anchise, proprio in corrispondenza  della confluenza del rio Santamaria con il Biferno, e continua verso la sorgente del fiume, qualche chilometro più a monte, nei pressi di Bojano.

In questa stagione le sponde sono abbastanza libere, i rovi non hanno ancora vinto la loro battaglia per l’isolamento estivo, e le trote sembrano loro alleate in questa lotta per l’inaccessibilità, e sbucano un po’ dappertutto come saette, macchie scure che si muovono come ombre riflesse sul letto del fiume.

Il pescatore, nella maggior parte dei casi, ha solo un paio di possibilità per convincerle ad abboccare all’artificiale che hanno scelto di inseguire prima di sparire per sempre.

Qui la tecnica conta, eccome.

Mimmo mi racconta che ce ne sono tante, e qualcuna l’ha pescata più volte.

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C’è Polifemo, la trota di 60 cm con un occhio solo che è un po’ che non vede, tanto da iniziare a temere che sia finita nel guadino sbagliato; cè Persiana, la trota esagerata di quasi un metro e poi Rosetta, un pesce chiaro che sta sempre nel solito posto e che si riconosce per via di quella beccata di cormorano o airone che ha sul muso.

E poi dice che si mangiano tra di loro, le trote del Biferno, e che di altri pesci ce ne sono ben pochi. Giusto qualche cavedano e barbo che sono riusciti a diventare troppo grossi anche per un pesce come questi.

Ce ne sono, in questo fiume, di bocche da sfamare, e il cibo a disposizione è scarso, e infatti la colorazione che va meglio è la livrea di una trota, guardate un po’.

Come nella maggior parte dei casi, l’azione di pesca si effettua risalendo il fiume, lanciando i nostri artificiali il più vicino possibile a ripari o anfratti nei quali si possano nascondere i predatori in attesa di tendere gli agguati.

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Jubar Smart e Jubarino Molix livrea Trota Fario

Gli artificiali che abbiamo utilizzato maggiormente sono stati dei minnow compresi tra i 3 e i 9 centimetri ( Jubar e Jubarino della Molix, Countdown e Original Floating della Rapala,), mentre l’attrezzatura era composta da sensibili canne da 7 piedi (Troutino della Major Craft e Falcon) abbinate a piccoli mulinelli fissi taglia 2500 caricati con fluorocarbon dello 0,23.

Il recupero dell’artificiale è, oltre alla precisione nel lancio, l’altra componente fondamentale per riuscire a pescare da queste parti.

A volte le trote mangiano d’impulso, basta che il pesciolino appaia nel posto giusto al momento giusto e il gioco è fatto. Altre invece è necessario scatenare il loro istinto e convincerle ad abbassare la loro naturale resistenza nonostante la fame, animando l’esca con colpetti di polso, a volte brevi ed arroganti, altre decisi e disperati, come la volontà di sfuggire alle fauci di un predatore con tutte le proprie forze.

Insomma, cerchiamo di muovere quell’artificiale come ci muoveremmo noi se dovessimo scappare da un mostro cattivo che ci vuole azzannare, e se è il caso violentiamoci, ma non cadiamo nell’errore imperdonabile di vedere una trota interessata al nostro inganno, e rallentare il recupero credendo che essa abbocchi solo perché le abbiamo dato il tempo, anche perché nel frattempo lei si sarà accorta che quello non è un pesce in squame ed ossa, ma un pezzo di materia inanimata che l’uomo ha inventato per tentarla.

A tale scopo è utile minimizzare l’utilizzo di agenti di contrasto quali le ancorette, che è preferibile sostituire con ami singoli tipo Decoy Single 27 e 28, da montare nelle varie misure proporzionate alla lunghezza dell’artificiale. Oltre a risultare meno invasive rispetto le ancorette e provocare meno danni nella fase di slamatura, hanno il vantaggio di garantire una tenuta maggiore su esemplari di taglia e di raccogliere meno sporco o avere meno possibilità di attaccarsi a qualche appiglio.

Oltre a camuffarsi maggiormente nella figura generale dell’artificiale e risultare meno visibili al pesce.

Un’altra variabile molto importante è il silenzio e la capacità di mimetizzarsi. Lo so, che sporgersi dalla riva è una tentazione troppo grande, soprattutto se ci troviamo in corrispondenza di una buca piena di pesci, ma cerchiamo di avere la massima attenzione nella fase di avvicinamento e scelta del posto dal quale lanciare.

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Pescare in corsi d’acqua come questo non è facile, i pesci sono molto sospettosi e basta un’ombra per mettere in fuga gli esemplari più vecchi e, di conseguenza, più grandi.

Ma l’intensità di inseguimenti ed attività predatoria è pressocchè costante, e quindi molto avvincente, tanto che tra una buca e un’altra avremo fatto almeno 3 chilometri di fiume, e ora è il caso di iniziare a tornare al fuoristrada perché si è fatto tardi.

La voglia di lanciare e di scatenare un attacco è come una malattia che ci colpisce in maniera compulsiva, e quasi non ne possiamo fare a meno.

Anche perché sulla strada del ritorno ci sono un paio di posti dove mi ha seguito una fario grande come un salmone, e altri due lanci li rifarei…

Mi fermo a fumare una sigaretta sotto le fronde bagnate di un albero gocciolante, fisso l’acqua, e all’improvviso mi ritorna in mente una storia che avevo letto da piccolo su una rivista del settore.

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Saranno passati più di 20 anni ma quell’articolo è rimasto impresso nel mio cuore. Si intitolava I Salmoni del San Savino, e parlava di un piccolo fiume in Abruzzo, non lontano da qui, dove per alcuni anni, in un passato non troppo remoto, qualcuno era riuscito a compiere il miracolo di immettere dei salmoni nel corso d’acqua e far sì che questi, ogni anno, ritornassero alle sorgenti per riprodursi.

Ricordo che quella storia mi colpì profondamente, ero bambino ma le parole usate per descrivere la meraviglia di quell’esperimento  furono talmente belle che non le ho mai dimenticate, insieme allo sconforto derivato dalla fine dell’incanto a causa dello sfruttamento eccessivo e dell’inquinamento di quel fiume.

Forse le trote del Biferno sono l’incarnazione di un salmone, proprio come uno di quelli che un tempo popolavano le acque del San Savino.

La pioggia continua a cadere, nonostante la bella stagione sia iniziata già da un po’.

Ma l’acqua di questo fiume è ancora trasparente.

2012 testi e fotografie di Marco Tortora

 

 

Le Wild Trout dell’Alto Bifernoultima modifica: 2015-11-15T04:23:58+01:00da mambomarco
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