Fishing the World

LOS ROQUES – Rocce di isole perdute

Articolo pubblicato sul numero 1 Primavera 2010 della rivista H2O Magazine

Il palloncino-galleggiante farcito di starlight si allontana senza fretta nel buio della notte, tirandosi dietro un piccolo carangide vivo che non ha neppure il tempo di capire dove sia finito che scompare nel nulla.
La ferrata inaspettata finisce clamorosamente a vuoto.
Il pesciolino si muove ancora ma nei suoi occhi pietrificati, e ancor più nel suo procedere goffo e disordinato, si avverte l’orrore di chi ha visto la morte in faccia ed è sfuggito per un miracolo, che al lancio successivo non lo risparmierà di nuovo.
La lucetta chimica usata come segna esca affonda nuovamente con più cattiveria di prima.
Sono solo calamari?
Passano alcuni istanti di incertezza, di attesa per dare il tempo a quella forza di ingoiare profondamente, quindi ferro deciso due volte in rapida successione ed il pesce c’è.
E capisco subito che non si tratta di un calamaro gigante e nemmeno di una piovra.
Di sicuro non è un tarpon, anche se tira come un dannato, perché non salta come lui ma al contrario cerca di portarsi sotto le cime delle barche che dondolano davanti al campeggio e mi impegnano in rapidi balzi per cercare di non perderlo.
Alla fine della lotta, durata una decina di minuti, il cugino Barracuda afferra la coda e uno splendido Jack di quasi 5 chili svela il segreto, riflettendo nella luce della luna.

Succede di notte, due giorni dopo il nostro arrivo a Gran Roque, l’isola più grande dell’Arcipelago di Los Roques, 82 miglia a nord di Caracas, in pieno Mar dei Caraibi.
Unico centro abitato delle 365 isole che formano questo bassofondo esteso per 900 kmq, con una profondità media di 6 metri e un habitat ideale per la crescita di formazioni coralline e l’esplosione della vita sottomarina, Los Roques è ritenuto il secondo posto al mondo per la pesca del Bonefish, dopo le lontanissime Christmas Island nell’Oceano Pacifico.

Ma non siamo qui solo per il fantasma delle flats, che per altro raggiunge una taglia impressionante con esemplari che superano i 6 chili e se la spassano tranquillamente davanti alle spiaggie tra le gambe dei turisti in costante ricerca di cibo.
Siamo attratti dai racconti e dai report di altri pescatori che in precedenza si sono cimentati con grossi tarpon proprio davanti al campeggio di Gran Roque, enormi barracuda e squadre di carangidi che pattugliano i canali tra i coralli.
Per esplorare l’area, dichiarata parco nazionale nel 1972, abbiamo deciso di accamparci con la tenda nelle varie isole e scoprire tutte le potenzialità dell’ambiente circostante, provando diverse tecniche ed alternando lo spinning alla pesca con il vivo, la pesca a mosca e la traina in barca.
La nostra avventura è iniziata davanti alla spiaggia del piccolo aereoporto di Gran Roque, un posto popolato da diversi gruppi di bonefish molto diffidenti e cauti. Quasi subito abbiamo compreso che non bastava lanciare la mosca davanti al loro muso per provocare l’attacco, anzi è preferibile immaginare la traiettoria del loro nuoto per presentare l’insidia ed anticiparli senza spaventarli con falsi lanci e pose rumorose, un rischio sempre in agguato in zone ventose come questa, soprattutto quando il pescatore è colpito dalla frenesia per ciò che vede ed ora si ritrova tutto solo, a mollo nel Mar de Caraibi, e loro sono lì a pochi metri che quasi li puoi toccare, dopo averli sognati per tutto l’inverno.

Il giro di ricognizione è continuato fino a sera percorrendo il perimetro est della costa fino a ritrovarsi a nord dell’isola, che diventa rocciosa e dove ci siamo divertiti a spinning con barracuda, yellowtail snapper, carite  e cerniotte su attrezzature molto leggere e piccoli artificiali.

 

 

 

Il giorno successivo, poco prima del tramonto, il cugino Barracuda ha attaccato a spinning il suo primo bonefish, utilizzando come esca un ondulante. Una bella lotta, qualche fotografia, e poi di nuovo in acqua per una lenta riossigenazione ed il ritorno nel suo ambiente naturale.
Il bello però deve ancora avvenire: dopo due giorni di perlustrazione, il recupero del fuso orario e l’adattamento al caldo e ai mosquitos che non danno tregua, scopriamo che proprio davanti alla nostra tenda la mattina presto e la notte si scorgono grandi cacciate di Tarpon che delfinano scoprendo la loro impressionante pinna dorsale.
Proviamo subito con gli artificiali alternando popper ad ondulanti, jig a minnow, ma con tutto il pesce foraggio a disposizione, sembra che non siano interessati ai nostri inganni, che continuiamo a muovere in tutti i modi possibili.
Bisogna giocarsi la carta del vivo.
Attrezziamo velocemente una cannetta con il sabiki per procurarci i pesci-esca, un’operazione che porta via un pò di tempo ma che si rivelerà fondamentale per convincere i predoni a lasciarsi andare ed abbassare così il livello di guardia.

Se siete interessati a questa tecnica, consiglio vivamente di portarvi da casa una piccola nassa da lasciare attaccata alle barche ed avere così sempre a disposizione le esche vive pronte da innescare. Unica raccomandazione: state attenti ai bambini che giocano sulla spiaggia e si divertono a sabotare le reti, come è accaduto a noi in più di un’occasione.

Quello che è successo dopo l’avete già letto all’inizio di questo report, e nella stessa notte il cugino ha mancato clamorosamente la ferrata per ben quattro volte consecutive…con lo stesso pesciolino terrorizzato! No, ve l’ho già detto…vi assicuro che non erano calamari!
Tutti i dubbi riguardanti il potere catturante dei pesci che avevamo a disposizione si sono azzerati in un attimo: l’aiuto del sabiki ci aveva permesso di catturare piccoli jack, cefali, pompanos e addirittura pargo, che puntualmente venivano attaccati e che mai avremmo immaginato di poter utilizzare come esca.
Il primo tarpon ha fatto la sua comparsa la mattina successiva, schiantando la lenza madre sotto le cime delle barche.
Manovravo la canna immerso nell’acqua fino alla vita e, nonostante la cintura da combattimento, mio cugino era costretto a tenermi forte per non farmi trascinare via dal pesce. Semplicemente pazzesco. Senza pensarci su troppo ho caricato il mulinello Penn con un filaccio da 50 libbre, credendo ingenuamente di aver risolto tutti i problemi e non correre più rischi inutili, anche perchè alcuni amici che abitano lì mi hanno riferito che mai nessuno è riuscito a spiaggiare un pesce di 30/50 chili da quella posizione, proprio di fronte al campeggio. Troppi intralci.
Alla fine non siamo mai riusciti a portare a riva un tarpon: lo perdevamo prima per una slamatura, per una rottura o addirittura perchè l’ultimo che ho attaccato è riuscito ad aprire un amo Hayabusa 4/0 al quinto salto.

Fuori, in mare aperto, la situazione non è cambiata di molto ed i pesci più belli non siamo riusciti nemmeno a vederli.

Abbiamo affittato la barca per due giorni consecutivi: il primo, trainando lungo tutta la grande barriera est, dove un barracuda taglia extra large “brucia bobina” ha avuto la freddezza di aprire letteralmente l’ancoretta e l’anellino di un ondulante alla prima fuga; ed un Wahoo o qualcosa di ancora più grande ha strappato fuori Cayo Sal un artificiale Yo-Zuri da 24 cm per 100 grammi di plastica ed acciaio inutili, rischiando anche di accecare l’occhio di un amico, per il contraccolpo subito dalla canna in seguito all’attacco. Lo stesso giorno abbiamo avvistato anche uno squalo ed un gruppo di delfini fuori la Boca de Sebastopol, ai confini meridionali dell’arcipelago.
Il secondo giorno ci siamo diretti dalla parte opposta, ad ovest fino a Cayo de Agua, l’ultima isola e forse anche la più bella, divertendoci con barracuda, yellowtail e nel pomeriggio con la pesca a fondo alla ricerca di splendide cernie dai colori sgargianti e dal sapore squisito.

 

 

 

Per chi noleggia un’imbarcazione, il cui costo varia molto ed è compreso tra i 100 e i 350 dollari a seconda della tipologia, una tappa obbligatoria è costituita dalla Palafitta del Pancake, una costruzione abbastanza di fortuna eretta nel bel mezzo del nulla in qualche posto del Bajo de Los Roques, l’unica zona d’ombra nell’arco di chilometri quadrati pensata come casa cantoniera per tutti coloro i quali si ritrovano da quelle parti e magari vogliono fare una siesta durante le ore più calde della giornata.
Nei bassifondi che la circondano non è raro vedere i bonefish cacciare con la coda completamente fuori dall’acqua.

Diciamo che affittando la barca per un paio di giorni, si avrà la possibilità di girare davvero per tutto l’arcipelago, e scoprire isole fantastiche e lagune dimenticate abitate solo da pesci ed uccelli. Anche chi ne è sprovvisto o non può permettersi gli alti costi del noleggio, potrà comunque visitare le isole della zona ricreazionale utilizzando i taxi boat, che ti portano a destinazione e poi vengono a riprendervi nel pomeriggio o la mattina successiva, dandovi così la possibilità di passare una notte in solitudine e pescare in un’isola tutta vostra con le stelle a portata di mano.
E se magari vi capiterà di ritrovarvi all’imbrunire su di una lingua di sabbia bianca che si protende verso il mare aperto mentre la corrente monta e si muove veloce, per favore innescate come si deve qualsiasi pesce abbiate appena catturato, perchè di sicuro un altro molto più grosso di lui  avrà fame e non ci metterà molto prima di farvelo sapere…

 

 

INFORMAZIONI DI VIAGGIO

 

L’arcipelago di Los Roques è situato ad 82 miglia di distanza dalle coste venezuelane, in pieno Mar dei Caraibi, ed è formato da 365 isole di formazione corallina che si estendono su una superficie di 900 chilometri quadrati.

Gran Roque è l’unico centro abitato ed attrezzato dell’arcipelago, con un piccolo aereoporto e strutture ricettive che comunque non hanno niente a che vedere con i grandi alberghi e resorts disseminati in altre località turistiche, in quanto la zona è inserita all’interno del Parco Nazionale dell’Arcipelago di Los Roques, istituito dal governo venezuelano fin dal 1972.

Per dormire si puo scegliere tra le posadas (case di pescatori riconvertite al turismo), o il campeggio libero all’interno della zona ricreazionale. All’arrivo è necessario pagare una tassa d’ingresso al parco equivalente a circa 8 dollari, e se si ha intenzione di pescare è necessario un permesso che può essere richiesto all’INPARQUE, l’ufficio preposto alla tutela del parco, situato all’estremità del pueblo vicino all’unico supermercato di Gran Roque. Presso questa struttura sarà rilasciato anche il permesso gratuito per campeggiare, tenendo ben presente che non si può piantare la tenda ovunque, ma solo in uno spazio non attrezzato e poco ombreggiato situato proprio di fronte l’ente gestore del parco.

Da Caracas diverse compagnie aeree collegano l’isola alla terraferma, con piccoli aerei da turismo che impiegano circa 40 minuti per il tragitto, ed il cui costo varia molto a seconda del periodo ed oscilla tra i 50 ed i 150 dollari a/r.

Per ulteriori informazioni non esitate a contattarmi, sarò felice di potervi dare qualche dritta ed indicarvi i posti e le persone giuste che potranno aiutarvi e risolvere qualsiasi tipo di problema.

http://fishingtheworld.myblog.it

 

LOS ROQUES – Rocce di isole perduteultima modifica: 2010-04-22T20:26:00+02:00da
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